Il mio libro

Il mio primo romanzo Ebben, ne andrò lontana  è stato pubblicato nel maggio 2010 da Excogita. Quando Giulia, la protagonista, si sente travolta dalle sue innumerevoli incombenze e non trova lo spazio per  per scrivere, vorrebbe andarsene via lontano. “Come la Wally nell’opera di Catalani.”

Sulla copertina un’immagine femminile, L’angelo della Terra, dipinta da  Gian Paolo Giovannetti, nostro caro amico. Il libro porta questa dedica:

 

Al popolo degli alberi,

alla Terra.

 

Racconta la storia di Giulia, nata durante la guerra. La sua famiglia, il padre operaio, la madre casalinga, vive in periferia. Sullo sfondo la Milano di allora.

 

Tutti gli anni, il mese di maggio, l’Emilia la portava alla chiesa dei Frati. Non si univa alle altre donne. Accendeva un cero davanti all’altare della Madonna e si fermava lì a pregare in silenzio, con la bambina. Aveva una sua religione personale. Per lei Dio era troppo grande, lontano, mentre, se pensava alla Madre, sentiva sempre una risposta, un senso di calore. Le piaceva anche la bianca colomba dello Spirito Santo, perché amava tutti gli esseri alati, e quindi anche gli angeli con le grandi ali bianche, cangianti, come li descriveva lei, che nei sogni le portavano sempre bei messaggi.

Così, fin da piccola, Giulia aveva imparato a pregare da sola, in silenzio. Qualche volta sentiva una presenza luminosa, un profumo di fiori. Pensava allora al suo angelo. L’Emilia le aveva detto che l’avrebbe sempre avuto vicino.

 

D’estate andava con la mamma nella casa dei nonni:

 

Nella casa fra le colline aveva imparato a conoscere il silenzio, che però talvolta le faceva un po’ paura. Nel ripensare a quel tempo, ricordava quegli istanti di estraniazione, come il gelido scintillare di una lama nello splendore delle spighe di grano.

Una mattina si era dovuta alzare molto presto per prendere la corriera. Fatta colazione, era corsa fuori. La terra e il cielo erano immersi in una luminosità pura, radiosa. Aveva provato una sorta di estasi, di comunione. (p. 27)

 

Nel quartiere popolare dove abitava “tutti si conoscevano, parlavano in dialetto, erano abituati a darsi una mano. La gente lasciava sempre la porta aperta. In seguito Giulia faticò parecchio a prendere l’abitudine di chiuderla a chiave, e le sembrò una violenza. Tutti avevano imparato a starsene fra quattro mura, ad avere paura degli altri, a parlare lo stesso linguaggio sbiadito e omologato.” (p. 20).

Avrebbe voluto far ritorno a quei tempi e tutta la sua vita è pervasa dalla nostalgia, dal rimpianto del tempo passato; Una volta che – i figli sono ormai cresciuti – si ritrova a passare davanti alla casa in cui era vissuta con i genitori, “Giulia alzò lo sguardo verso la finestra illuminata della stanza in cui aveva dormito e studiato per tanti anni. La finestra era socchiusa, sul balcone c’erano dei gerani. Rimase a lungo a guardare, affascinata, come se si aspettasse da un momento all’altro di veder comparire qualcuno: lei ragazza, o bambina, sua madre, il Nino. Sentì l’impulso di varcare il portone e correre su per le scale, come faceva quando era tardi e sapeva che sua madre l’aspettava, alzata, con quella espressione ansiosa. Avrebbe suonato il campanello, la porta si sarebbe aperta e come per magia tutto il suo piccolo mondo sarebbe ritornato intatto, non per sovrapporsi a quello in cui viveva, ma per fluire in parallelo.” (p. 30).