Non amo il tempo in cui vivo. Tutto è subordinato agli interessi dei ricchi, dei potenti, che continuano a prosperare, mentre gli altri si impoveriscono, non solo materialmente, perché tutto ciò che costituisce un bene della comunità viene ghermito da quelle mani rapaci.
Mancano le personalità che possono cambiare il mondo, far nascere grandi speranze. Le speranze che io e molti altri abbiamo avuto, che davano luce alla vita. Ma ci sono tante anime generose che operano in silenzio, nell’anonimato. Chissà se da loro verrà la salvezza. Come è avvenuto nella generazione precedente la mia. Che ha dovuto affrontare la guerra, combattere il fascismo e il nazismo. Vedere le nere armate del male irrompere e vincere. Penso a tutti quegli uomini e donne che hanno lottato, e dato la vita per una liberazione che doveva sembrare così lontana.
Alcuni anni fa ho visto un film, Bobby di Emilio Estevez, che mi ha colpita soprattutto per le immagini del protagonista, Robert Kennedy. Nel film viene rappresentato il suo ultimo giorno di vita nell’Hotel Ambassador di Los Angeles in attesa della sua vittoria alle primarie. Intorno a lui si muove una folla di personaggi. Nessun attore rappresenta Robert Kennedy. Di lui appaiono le immagini trasmesse dalla televisione.
Mi sono commossa fin dall’inizio. Quella voce, quelle parole contro la violenza, l’odio per chi è diverso da noi. Fautore dei diritti civili per tutte le minoranze, invocava per gli Stati Uniti un ruolo di “compassionate nation”, e la fine della guerra in Vietnam.
Poi l’assassino si fa strada fra la folla festante e spara, uccidendo Bobby e con lui la speranza di un mondo diverso. Era il 6 giugno 1968. Dallo schermo giungono le parole pacate di Robert contro la violenza.
Aveva accolto la difficile eredità del fratello John, e come lui era stato assassinato.
Ricordo ancora quel giorno. Era il 22 novembre 1963. Stavo guardando la televisione con mia madre quando avevano bruscamente interrotto le trasmissioni per annunciare che il presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy, era stato assassinato. Avevo pianto. Anche mia madre. Che, con la faccia nascosta fra le mani aveva detto: “Non voglio più soffrire. Ho già sofferto abbastanza.”