Molto interessante l’articolo di Veltroni pubblicato dal Corriere della Sera del 12 febbraio sui giovani in questi tempi oscuri. Quasi nessuno si cura di loro, dei loro disagi e sofferenze. Perdere un anno a quest’età è come perderne venti, ha detto Cacciari.
Veltroni riporta alcuni dati significativi: “Nel 2020 l’unità di Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza ha avuto 300 ricoveri, quasi uno al giorno per attività autolesionistiche di varia natura fino a propositi suicidi. L’anno prima erano stati 12: uno al mese.” E per di più i giovani hanno la certezza che saranno gli ultimi a essere vaccinati, gli ultimi a uscire dal tunnel, da questa vita che è contronatura per loro: è vietato tutto quello che fa parte della vita naturale dei ragazzi: stare con i coetanei, a scuola, ai concerti, in discoteca. E dato che non si sa quando finirà la pandemia, non possono nemmeno programmare una vacanza, un viaggio.
Un professore di liceo ha detto che “i ragazzi si stanno spegnendo”.
“Mi ha colpito” scrive Veltroni, “che in questo paese con i capelli bianchi nessuno si sia fermato, anche solo un attimo, per chiedersi se fosse proprio da escludere l’idea di cominciare a vaccinare, oltre al personale sanitario e agli ultraottantenni, proprio i più giovani. Per restituire loro una normalità la cui perdita, a quindici o vent’anni, è una ferita difficilmente rimarginabile.”
Parlando con mio figlio, ho saputo che ieri è arrivata la polizia al campo giochi che frequenta il mio nipotino. C’erano dei ragazzi senza mascherina. Non si sa se siano stati multati. Pensa che sia stato qualcuno ad aver chiamato la polizia. Ha detto che lui non l’avrebbe mai fatto: “Non sono un delatore”.
Io sono d’accordo e mi è venuto in mente l’articolo di Veltroni sul Covid e i giovani apparso sul Corriere della Sera del 13 marzo. E in particolare una frase pronunciata da uno dei ragazzi intervistati, Saverio: “Io passo le giornate nella mia camera, esco solo quando mangio. La vivo male. Perché prima sembrava un altro mondo, ora invece sembra il mondo normale, l’unico possibile. Siamo come incatenati, ci vengono limitate tutte le cose che ci piace fare. E quando proviamo a sopravvivere c’è sempre qualche adulto che si scaglia contro di noi. Veniamo trattati male, come un capro espiatorio, qualcuno che è causa e non vittima di questa situazione orrenda. C’è il dito puntato contro di noi, che avremmo solo bisogno di una carezza e che ci fosse consentito di vivere la nostra età.”
Edoardo: “… ora la vita è più difficile, più cupa. Ci sono rimasti solo i doveri e la noia. Temo che pagheremo il prezzo di tutto questo, nel futuro. Ci stanno rubando gli ultimi anni del liceo, anni importanti. In questi mesi ci siamo trovati spezzati.”
Lodovica, la ragazza che ha organizzato l’incontro, aggiunge: “Quando a ottobre tutto è ricominciato, ho sentito che non c’era una via d’uscita. Quanto dobbiamo andare avanti? Stiamo male. Alcuni ragazzi che conosco hanno avuto bisogno non solo di uno psicoanalista, ma di uno psichiatra. Io non faccio più sport, non ho relazioni, non posso nemmeno andare a scuola… ” Ricorda di aver letto durante il primo lockdown Sostiene Pereira di Tabucchi, e di aver divorato le pagine finali del libro.
E io ricordo il film, le ultime immagini, la bella faccia del protagonista, Marcello Mastroianni, che corre incontro alla libertà. “Non c’è tempo da perdere” sono le ultime parole del libro.